Riflessioni e provocazione sui “soliti allergeni”. PARADOSSO DEGLI ALLERGENI ALIMENTARI: normative precise, ma limiti assenti.
4 Luglio 2025, in allergeni, Etichetta, Food, Sicurezza Alimentare
Un problema che tocca la sicurezza alimentare di milioni di persone
Nel mondo dell’industria alimentare, esiste una particolarità normativa che molti professionisti del settore conoscono bene, ma che raramente viene discusso apertamente: il Regolamento UE 1169/2011 stabilisce con precisione assoluta quali allergeni devono essere dichiarati, ma non fissa limiti quantitativi per la loro presenza.
LA LISTA DEI 14 “SOSPETTI NOTI”
Il regolamento europeo identifica chiaramente 14 categorie di allergeni che devono essere obbligatoriamente dichiarati: cereali contenenti glutine, crostacei, uova, pesce, arachidi, soia, latte, frutta a guscio, sedano, senape, semi di sesamo, anidride solforosa e solfiti (sopra i 10 mg/kg), lupino e molluschi.
Ma qui inizia il problema: mentre la norma è categorica su cosa dichiarare, rimane completamente silenziosa su quanto può essere presente prima che scatti l’obbligo di dichiarazione.

L’Eccezione che Conferma la Regola
L’unico caso in cui viene stabilito un limite quantitativo è per l’anidride solforosa e i solfiti: 10 mg/kg o 10 mg/l e qualcosa di analogo sul glutine per il Regolamento (CE) n. 41/2009 (20 mg/kg). Queste eccezioni evidenzia ancora di più l’assenza di soglie per tutti gli altri allergeni.
Le Conseguenze Pratiche
Questa lacuna normativa genera un rischio continuo e sistemico per le aziende alimentari:
- Potenziale interpretazione soggettiva: Ogni azienda deve decidere autonomamente, in base a analisi del rischio ponderate, se e quando dichiarare la presenza di allergeni;
- Responsabilità legale amplificata: le sanzioni per mancata dichiarazione sono molto variabili, fino a decine di migliaia di euro, ma senza soglie chiare.
- Gestione del rischio complessa: Come quantificare il rischio di contaminazione crociata senza parametri di riferimento?
Una “vittima Silenziosa”: Il Responsabile Qualità e OSA
Una delle vittime principali di questo paradosso normativo è il tecnico responsabile qualità, che si trova quotidianamente a gestire il pericolo allergie con una normativa che definirei “da ottimizzare”.
La domanda che ogni volta deve gestire ogni professionista del settore è: “Nessun limite vuol dire limite zero?” Ma il tecnico sa perfettamente che il limite zero non esiste in natura:
- Limite fisco e analitico: potenzialmente non si può raggiungere e garantire il mantenimento dello “zero assoluto” in nessun processo industriale standard, se non in situazioni molto estreme;
- Limite di rilevabilità: Esiste sempre un LoD (Limit of Detection) sotto il quale non possiamo “vedere”;
- Paradosso evolutivo: i LoD continuano ad abbassarsi ogni anno con nuovi metodi analitici
Il risultato è che il responsabile qualità in alcune situazioni vive in un limbo decisionale:
- Se il valore è “inferiore al LoD”, deve dichiarare l’allergene?
- Se il nuovo metodo analitico abbassa il LoD da 1 ppm a 0.1 ppm, cosa cambia per la sicurezza del prodotto?
- Come giustificare scientificamente una decisione presa senza parametri normativi?
È una responsabilità importante: dover garantire la sicurezza alimentare navigando in una zona grigia dove scienza e burocrazia non si incontrano mai. Dove anche fra le autorità competenti ci sono approcci differenti su tale aspetto.
Il Paradosso Tecnologico
Dal punto di vista tecnico, sappiamo che esistono soglie di reazione allergica individuali estremamente variabili. Alcune persone reagiscono a pochi microgrammi (ppm), altre tollerano quantità maggiori. Ma come traduciamo questa evidenza scientifica in pratica industriale senza parametri normativi?
Il problema si aggrava ulteriormente per un paradosso tecnologico: il continuo miglioramento delle performance analitiche. I limiti di rilevabilità (LOD) e quantificazione (LOQ) degli strumenti diventano sempre più bassi – parliamo di ppb o addirittura ppt per alcuni allergeni.
Questo progresso tecnologico, normalmente positivo, esaspera il vuoto normativo:
- Iper-sensibilità analitica: riusciamo a rilevare tracce infinitesimali che 10 anni fa erano “invisibili”
- Dilemma decisionale: Se rilevo 0.01 ppm di arachidi (riferita ad una razione giornaliera), devo dichiararlo? E se sono 0.001 ppb? E se sono … Senza soglie di riferimento, anche quantità probabilmente innocue generano incertezza
La Componente Emotiva del Problema
Non possiamo ignorare che nell’opinione pubblica esiste un approccio spesso emotivo alla problematica degli allergeni, che non distingue la gravità tra preferenza alimentare e rischio reale per la salute.
La confusione tra concetti differenti alimenta ansie ingiustificate:
- Allergie: Reazioni immunitarie potenzialmente fatali (anafilassi)
- Intolleranze: Disturbi digestivi senza coinvolgimento del sistema immunitario
- Preferenze: Scelte alimentari personali senza base medica
Questa sovrapposizione concettuale genera una “allergo-fobia” che spinge le aziende verso dichiarazioni sempre più conservative, creando un circolo vizioso dove l’eccesso di cautela alimenta ulteriore ansia nei consumatori.
La Realtà Operativa: Tra Scienza e Percezione
Nella pratica quotidiana, molte aziende adottano un approccio ultra-conservativo, dichiarando potenziali tracce anche per contaminazioni minime. Questo comporta:
- Sovrabbondanza di diciture “può contenere tracce di…”
- Difficoltà per i consumatori allergici nell’identificare i reali rischi
- Costi aggiuntivi per segregazioni e controlli non sempre necessari
- Paradosso della comunicazione: Più diciamo tutto, meno aiutiamo chi ha davvero bisogno di informazioni precise
Il risultato è che i veri allergici – quelli che rischiano shock anafilattico – si trovano in un mare di avvertenze spesso poco significative, mentre chi ha semplici preferenze alimentari vive ansie ingiustificate.
I Primi Segnali di Cambiamento (VITAL)
Interessante notare che alcuni paesi europei stanno iniziando a muoversi verso una standardizzazione: il programma VITAL (Voluntary Incidental Trace Allergen Labelling) sta guadagnando trazione come metodologia standardizzata per la valutazione del rischio allergeni.
VITAL 3.0 introduce riferimenti quantitativi basati su evidenze cliniche, con soglie specifiche per ogni allergene. Le concentrazioni di Action Level (ppm) vengono calcolate utilizzando la Reference Dose (mg di proteina allergenica), offrendo finalmente un approccio scientifico standardizzato.
Questo vuoto normativo non è solo una questione burocratica, ma un problema di sicurezza alimentare pubblica che richiede:
- Maggiore armonizzazione europea sui limiti quantitativi (seguendo l’esempio di VITAL)
- Linee guida tecniche più precise per la valutazione del rischio
- Investimenti in ricerca per definire soglie scientificamente valide
- Adozione più ampia di standard internazionali come VITAL 4.0
La domanda che ci dovremmo porre è: in un settore dove la precisione è tutto, possiamo davvero permetterci di operare in questa zona grigia?
“La sicurezza alimentare non è un prodotto che si compra, ma un processo che si costruisce in modo oggettivo giorno per giorno” – Principio fondamentale dell’HACCP
Info sull'autore: Tarcisio Brunelli
Tecnologo alimentare, laureato in Agraria – Scienza delle Preparazioni Alimentari nel 1996 all’Università degli Studi di Milano. È iscritto all’Ordine dei Tecnologi Alimentari del Veneto dal 2000 (nr 2 OTAV). Specializzato nelle tematiche alimentari e di gestione HACCP, Assicurazione Qualità, implementazione norme igieniche e standard volontari del settore alimentare, food regolatory. Ha esperienza di sviluppo sul campo degli standard alimentari IFS, GSFS BRC, ISO 22000, ISO22005 (filiera latte e vino), RSPO ecc. in varie realtà industriali (prodotti da forno, dolciario, vitivinicolo, e della ristorazione collettiva) e di sviluppo e verifica conformità dell’etichettatura, sviluppo e gestione nuove ricette e relative schede tecniche. Sta ora approfondendo tematiche della ambiente (ISO14000) e sostenibilità nel food EUDR, CSRD, ecc.
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